giovedì 28 aprile 2011

In libreria: “Il rovescio del tennista” di Gilberto Canu

Conversazione con l’autore di Osvaldo Contenti

La lettura del romanzo “Il rovescio del tennista”, edito dal Gruppo Albatros Il Filo, scorre via piacevolmente, suscitando un immediato interesse per il fitto e complesso intreccio che si dipana nell’alternarsi delle varie vicende. E non solo perché lo stile di Gilberto Canu è coinvolgente sin dalle prime battute, ma soprattutto perché l’autore sa strutturare assai bene le basi psicologiche e lo specifico ruolo di ogni nuovo personaggio che mano a mano affiora dalle pagine.

Una minuziosa costruzione degli “attori in scena” in cui si avverte un metodo, una disciplina che va al di là delle normali prerogative di un qualsiasi scrittore. Difatti, l’autore, assieme alle sue notevoli capacità narrative, annovera anche l’esercizio della professione di architetto, il che spiega il rigore nell’”edificare” il racconto sin dalle sue fondamenta.

Del resto, per dirla con le parole dell’architetto Renzo Piano, l’architettura è “l’arte del costruire, ma anche l’arte di rappresentare le cose”.

Prova ne sia l’ottimo impianto di questo romanzo di Gilberto Canu, dove oltre all’egregio “progetto costruttivo”, di cui ho fatto cenno, l’autore pone in essere anche un difficile ma riuscito doppio ambito di riflessioni, rivestendo di antiche memorie del ’56 e di lotte del ’68 studentesco un articolato edificio in cui sarà intrigante perdersi, per poi ritrovarsi proprio come i protagonisti del racconto. Temi sui quali ho invitato Gilberto Canu a chiarire alcuni aspetti nell’ampia conversazione che segue.
      
Dalla tua scheda biografica risulta che ti sei laureato in Architettura nel 1980 presso l’Università “La Sapienza” di Roma ed eserciti la professione nella provincia di Bologna. Ma ora, dopo il tuo libro d’esordio, intitolato “Valle Giulia”, torni a cimentarti nel campo della letteratura con “Il rovescio del tennista”. Un curriculum piuttosto singolare per un architetto. Vuoi spiegarci il perché di questa virata in veste di scrittore?

Ogni lavoro, anche il più creativo, prima o poi ti imprigiona nella routine. Cercavo un altro campo di gioco. L’ho trovato nella scrittura. Raccontare della facoltà di architettura di Roma negli anni d’oro è stato un esercizio relativamente facile. Io c’ero.
Altri che non ci sono mai stati e che quegli anni non hanno vissuto, raccontavano a sproposito. Ho voluto rimettere le cose a posto.

Nel romanzo “Il rovescio del tennista”, per addensare certe atmosfere, spesso poni l’accento su una serie di artisti, tra i quali Canova, Cezanne o Man Ray. Perché?

Io vengo dal Liceo artistico. Ero bravo. Il mio professore di figura "Titta" Salerno fratello di Enrico Maria cercò di convincere mio padre a farmi fare tre anni in uno. «Questo ragazzo ha "la mano"» diceva, qui è sprecato.
Mio padre da buon operaio gli rispose che le cose vanno fatte bene, prendendosi il tempo che serve. Quindi rimasi al Liceo. Fu una fortuna, poiché gli anni erano quelli che conosciamo e i professori straordinari. Invece di farci studiare sul’Argan (N.d.R. I volumi di Storia dell’Arte firmati dallo storico dell’arte Giulio Carlo Argan) ci portavano continuamente per musei a meravigliarci della bellezza di alcuni artisti. Ho scoperto così i "Futuristi" Balla, Boccioni, Marinetti. Tutta la pittura e scultura rinascimentale e Roma da questo punto di vista non si fa mancare niente.
L’arte e l’architettura sono diventate poi, le materie naturali dei miei studi.
C’è da dire che questa cosa ha prodotto negli anni successivi, quando scoppiò la divulgazione di massa delle mostre d’arte, il mio allontanamento progressivo dagli eventi culturali. Avevo già visto tutto o quasi, di quello che veniva proposto.

Ancora nel tuo libro più recente, nel capitolo “CI SONO CITTA’ A ORE”, racconti pezzi e tragitti di Roma passando dall’aspetto urbanistico a quello architettonico. Cosa ti lega ai luoghi di questa città e quanto sono stati importanti ai fini del tuo secondo romanzo?

Sono nato in un piccolo paese della "bassa" bolognese. Ho vissuto per vent’anni a Roma e ho origini sarde, a un certo punto ho dovuto eleggermi un domicilio legale per fare fronte a questo randagismo di origini indefinite. Roma è venuta da sé, in quella città ho avuto i primi amori, gli amici per sempre, i ricordi indelebili che appartengono all’età più importante. Non sono mai stato d’accordo con Paul Nizan che in Aden Arabia affermava "Avevo vent’anni non permetterò a nessuno di dire che quella è la più bella età della vita".
I vent’anni sono la più bella età della vita! Chi dice il contrario sa di mentire.
Vivere a vent’anni in una città come Roma in un tempo irripetibile è una cosa che ti segna. Frequentare luoghi e piazze che sono considerati i più belli del mondo con la consapevolezza di uno studente di architettura è una esperienza che ti porterai addosso come uno zaino in montagna.

Un’altra particolarità del tuo nuovo romanzo è quella di narrare, contemporaneamente, due periodi indietro nel tempo: la Roma degli anni ’70 e la Bologna del ’56. Perché questa scelta?

Bologna nel '56 era sepolta dalla neve come d’altronde tutta l'Italia. Volevo raccontare un’atmosfera, paesaggi silenziosi, odi di guerra terminati da poco, la miseria della vita che si conduceva con sacrificio e carenze, ma anche la voglia di andare avanti, di essere felici di quel poco che si aveva. Insomma della semplicità della vita degli uomini e delle donne di quell’epoca non ancora corrotta, non ancora avariata.
Roma degli anni '70 è la città della mia crescita, della passione politica, della possibilità che il mondo potesse essere diverso, felice di partecipare al suo cambiamento. Poi le delusioni e le sconfitte hanno scavato un solco che ha inciso in profondità quell’antica passione, senza vincerla del tutto.
Quella passione è nata a Roma negli anni della contestazione giovanile e inevitabilmente quella città mi è entrata dentro per sempre.
Periodicamente sento la necessità di tornare, sentirne gli odori, perdermi tra i suoi vicoli, pranzare da Armando al Pantheon, passeggiare la sera sul lungotevere, prendere un caffè al Sant’Eustachio. Vuoi mettere?

Note biografiche dell’autore

Gilberto Canu è nato a Sant'Agata Bolognese nel 1953. Laureato in Architettura nel 1980 all'Università La Sapienza di Roma. Svolge la professione nella Provincia bolognese. È stato sindaco del suo Comune per due legislature, ha due figli Leonida e Saverio. “Il Rovescio del Tennista” è il suo secondo romanzo, ha pubblicato con SBC Edizioni “Valle Giulia”.

In libreria e on line

Sito dell’editore

Il volume  “Il rovescio del tennista”, di 151 pagine, scritto da Gilberto Canu ed edito dal Gruppo Albatros Il Filo, è in vendita presso la catena di librerie Coop, diffusa in ambito nazionale e nelle maggiori città, tranne che a Roma, dove è disponibile nella libreria “Il Filo”, sita in via Basento 52.

Il libro di Gilberto Canu è acquistabile anche on line al seguente indirizzo:

ibs.it

N.B. Articolo pubblicato in rete su Pittura&dintorni all’indirizzo:

martedì 26 aprile 2011

In libreria: “Andreina e l’oro ucraino” di Mara Oneta

Un romanzo di intrighi e guerra nella Cremona del ‘43
Recensione di Osvaldo Contenti

Dopo l’armistizio diramato l’8 settembre del 1943, l’Italia entra in una sorta di crisi d’identità nazionale. Perché a partire da quel proclama, registrato e trasmesso via radio dal maresciallo Pietro Badoglio, che tutti gli italiani ascoltano o si passano immediatamente di bocca in bocca, da un momento all’altro i vecchi alleati, i tedeschi, diventano i nemici da contrastare, mentre le truppe anglo-americane, combattute sino al giorno precedente, assurgono a nuovi paladini e prossimi liberatori del nostro paese.
Ed è da questo schizofrenico scenario di partenza, precisamente dal 9 settembre ’43, che prende le mosse il bel romanzo di Mara Oneta intitolato “Andreina e l’oro ucraino“, coinvolgendoci sin dalle prime pagine nell’atmosfera di una Cremona conquistata dai soldati tedeschi, non senza che vi sia stato un disperato tentativo di resistenza armata da parte dei soldati italiani.
Da ciò, con gran dovizia di particolari, anche topografici, l’autrice scandaglia minuziosamente la città e i suoi immediati dintorni raccontandoci, potremmo dire in tempo reale, le vicissitudini quotidiane di Andreina che, oltretutto, durante una perquisizione delle SS, riceve di soppiatto un foglio scritto in tedesco che ha tutte le sembianze della mappa di un tesoro.
Poi tutto si complica tremendamente in quanto Andreina, più o meno forzatamente, andrà a lavorare per il maggiore della Wehrmacht Klaus Hagen presso la Kommandantur dei tedeschi. Il che conferisce ulteriore drammaticità all’intreccio romanzesco, delineando un sottile e insidioso crinale sul quale la ragazza vive in perenne pericolo, sempre in bilico tra il lavoro fianco a fianco con gli invasori tedeschi e la militanza partigiana del fratello Marco.
Ma il clou della tensione, com’è ovvio, arriva allo spasimo quando la presunta mappa dell’oro ucraino scatena una serie di brame incontrollabili. Rivalità, odio, contrasti e uccisioni a sangue freddo squassano il già fragile scenario bellico che aleggia attorno a Cremona, con una Andreina che a tratti sembra non reggere il peso di tante, insensate nefandezze.
Un panorama di acutissime implosioni psicologiche in cui l’autrice è brava a privilegiare e padroneggiare, invece che la macropolitica, il microcosmo di intime angosce famigliari, di paure miste a fugaci momenti di gioia, condite dai quei tipici lampi amorosi che una diciassettenne come Andreina non può non provare anche all’interno di una realtà a dir poco problematica.
Ed ecco che da parte del lettore scatta in modo naturale, direi automatico, il moto di riconoscersi nella famiglia di Pierina e Giuseppe Balestreri, oltre che nella figlia Andreina. Anche perché l’angoscia e le paure da loro provate fanno parte del patrimonio comune vissuto da milioni di famiglie italiane, che attraverso i ricordi di vita vissuta rappresentano l’humus di un’Italia ingannata e tradita, anche se mai incline a rinunciare al riscatto personale e sociale che infatti avverrà nel dopoguerra.
Un riscatto, una presa di coscienza dei veri valori dell’esistenza, che alla conclusione del romanzo ritroveremo, a sorpresa,  anche tra le pieghe di quell’oro ucraino tanto ambito.

Conosciamo l’autrice
Mara Oneta nasce a Cremona nel 1971 e dopo essersi laureata in lingue e letterature straniere con 110 e lode, nel 2005 pubblica il giallo “La sagoma del Torrazzo”, edito da Persico Edizioni. Il romanzo ad ambientazione storica “Andreina e l’oro ucraino”, suo secondo lavoro letterario, viene invece pubblicato nel 2008 da Cremonabooks, a cui fa seguito il recente “Il bambino che sognava l'Africa”, un racconto che riscuote il secondo posto alla quarta edizione del Premio Nazionale AlberoAndronico.

Premi conseguiti da Mara Oneta col romanzo “Andreina e l’oro ucraino”
Primo classificato nella sezione narrativa della II Edizione Premio Nazionale di Poesia città di San Giorgio a Cremano (NA).
Vincitore del Premio Speciale Il Mulinello, concorso letterario internazionale il Mulinello, edizione 2008.

In ibreria e on line
Il romanzo di Mara Oneta è in vendita in rete al seguente indirizzo:

“Andreina e l’oro ucraino“, edito da Cremonabooks, è in vendita anche presso le librerie romane LIBRERIA TERMINI 2 (atrio stazione Tiburtina), LIBRERIA MINERVA DI ODDI FRANCO (P.zza Fiume, 56/58) e FASTBOOK ( Via di Tor Vergata, 432)

NEWS!!!
Mara Oneta sta attualmente completando il suo terzo romanzo, “Sole fosco”.

In rete
Sito dell’editore Cremonabooks
www.cremonabooks.com

lunedì 25 aprile 2011

“L’ultima schiavitù” disegno di Osvaldo Contenti


La vigliaccheria degli adulti si esprime al massimo grado quando si tratta di oltraggiare bambini e adolescenti indifesi. E questo avviene in tutte le latitudini, segno che l’incultura del “possesso” di una giovane creatura pervade allo stesso modo sia le zone industrializzate che quelle in via di sviluppo. È quindi urgente che, dapertutto e in tutti i modi possibili, partendo dalle famiglie e arrivando ai Governi di ogni Paese, questa forma di sopraffazione venga stigmatizzata e debellata definitivamente, com’è stato quando l’umanità ha avuto uno scatto di coscienza, progredendo nella sua evoluzione socio-antroplogica e ponendo fine per sempre allo schiavismo e all’apartheid. Facciamo che diventi un impegno costante! Per tutti!

domenica 24 aprile 2011

“La ragazza di Spoleto (originale e variazioni)” di Osvaldo Contenti



Camminando con passo veloce, con ai piedi delle comode ballerine, la ragazza di Spoleto ti lancia uno sguardo furtivo, lasciando dietro sé, assieme a un delicato profumo di gelsomino, una scia multicolore che parte dal vezzoso cappellino alla provenzale per arrivare alla lunga veste, in stile patchwork, tanto creativa da far impallidire un qualsiasi dipinto di Kandinskij! Poi, tutto attorno, Spoleto ti incanta con archi e soffitti a volta che sembrano appartenere solo ad abitazioni signorili, mentre in quelle case vive gente di ogni ceto sociale. Così ti accorgi che la città a misura d’uomo, di donna e di bambino non è un ideale astratto ma è lì davanti a te, e mentre le ante di un portoncino si aprono elettricamente e silenziosamente, davanti a quel varco noti una finta bicicletta d’epoca fabbricata e pittata da chissà quale artista burlone. Raffigurare quell’istantanea permeata da architetture di vita è questione di pochi minuti, perché anche il pennello pare a suo agio in quell’ambiente dove l’arte è già nell’arte del vivere.

sabato 23 aprile 2011

Al cinema: “DYLAN DOG – IL FILM” di Kevin Munroe


Recensione di Osvaldo Contenti

“È sempre molto difficile realizzare la versione cinematografica di un fumetto”, ha ammesso, senza reticenze, il regista Kevin Munroe durante la conferenza stampa romana che ha presentato “DYLAN DOG – Il FILM”. “Specialmente – ha aggiunto – se si tratta, come in questo caso, di un fumettto amato e seguito da milioni di affezionati lettori, che inevitabilmente nel film si aspetteranno di trovare citazioni, personaggi e atmosfere legate a doppio filo all’investigatore dell’incubo”. “E in questo – ha concluso Munroe – mi sento di dire che il film è fedele allo spirito del fumetto, anche se ovviamente una qualsiasi pellicola non potrà mai essere un copia-incolla delle tavole di un comics”.
Per cui, gli aficionados di Dylan Dog in versione fumetto sono avvisati, perché se è vero che nel film la giacca nera, la camicia rossa, i jeans, il “Giuda ballerino!” e il “quinto senso e mezzo” riecheggiano ogni tratto caratteristico del nostro, è anche vero che il regista si è concesso ampi margini di libertà espressiva, spesso introducendo una propria idea del personaggio creato da Tiziano Sclavi.
Anche per quanto concerne l’aspetto fisico di Dylan (per volere di Sclavi, ispirato all’attore Rupert Everett), snello e longilineo nel fumetto, ma superatletico nell’interpretazione e soprattutto nei deltoidi di Brandon Routh (non per niente reduce da Superman Returns), che deve aver fatto scuola di inespressività, tanto è difficile osservarlo in un atteggiamento del volto riferito ad una qualsiasi emozione.
A parte ciò, va comunque salutato come un evento di notevole rilievo il fatto che un fumetto italiano di grande spessore estetico venga messo alla ribalta globale del grande schermo.
Un fumetto, lo ricordiamo, che in Italia vanta già una tradizione considerevole, in quanto stampato dal lontano 1986 da Sergio Bonelli Editore, che partendo da un’idea di Tiziano Sclavi, tramite i sontuosi disegni di Angelo Stano e le prime, splendide copertine firmate da Claudio Villa, ha segnato un punto di svolta nel campo della fumettistica nazionale. E non solo per l’inedita cornice horror, legata al soprannaturale, in cui Dylan Dog sembra a suo agio più che nella realtà di tutti giorni, ma soprattutto perché il tratto distintivo delle sue tavole si connota per un forte taglio cinematografico, quasi da storyboard d’autore, quindi naturalmente destinato ad una sua traduzione filmica.
Una traduzione che nel film di Munroe si concretizza soprattutto nelle scene girate a New Orleans, la cui atmosfera livida, quasi una copia surreale di una città europea trapiantata negli States, è l’intuizione ambientale che più si accorda all’urlo disumano emesso dal campanello della residenza londinese di Dylan Dog.

Curiosità

Dispiace che nel film di Kevin Munroe, per una complicata questione di diritti, non appaia il personaggio di Groucho (sosia del comico statunitense Groucho Marx), divertentissima spalla di Dylan Dog nella versione a fumetti, ma presto divenuto un’icona quasi alla pari dell’indagatore dell’incubo.

In rete

Sito Ufficiale del film
http://www.platinumstudios.com/
Sito italiano
http://www.dylandogilfilm.it/
Sergio Bonelli Editore
http://www.sergiobonellieditore.it/

N.B. Articolo pubblicato sul Portale d’Arte Pittura&dintorni alla pagina:
http://www.pitturaedintorni.it/artmovie24.htm

venerdì 22 aprile 2011

ELENA SANTARELLI - Photo: Osvaldo Contenti



La modella e attrice Elena Santarelli in una mia foto del 2006. / Italian model and actress Elena Santarelli in a 2006 picture.

“StimolAzioni Musicali” di Osvaldo Contenti



Il carburante del mio motore artistico è da sempre un’attenta e dosata miscela di musica classica e/o moderna che accompagna in lieve sottofondo la mia attività pittorica. Ma col passare del tempo mi sono reso conto che il timbro e i colori di una data opera possono accordarsi non con tutte, ma solo con delle precise espressioni musicali, che quindi devo scegliere a monte, prima di dispormi dinanzi al cavalletto. Così, estraendo dei brani dalla mia amplissima raccolta di vinili e cd, ho masterizzato una ventina di diverse compilation atte a stimolare dei distinti momenti creativi. E la cosa funziona, Perché, ad esempio, un brano ad hoc degli U2, di Pino Daniele o di Patty Smith ben si accorda con una pittura potente e dai colori aggressivi, diversamente dai Pink Floyd, tramite i quali la mia inclinazione surrealista viene pienamente soddisfatta. Quando invece mi accingo a dipingere con passione e sentimento, ho assoluto bisogno di ascoltare Chopin o il più romantico Tchaikovsky, mentre per le composizioni a carattere onirico è quasi sempre Stravinskij a darmi una mano. Ma questi sono solo degli esempi, perché sono innumerevoli i musicartisti che da decenni mi regalano straordinarie stimolazioni musicali. Ed è a tutti loro che dedico, ringraziandoli, quest’opera che li rappresenta come luccicanti esserini produci-sinapsi, senza i quali i miei colori non sarebbero “udibili”.

giovedì 21 aprile 2011

NICOLA PIOVANI - Photo: Osvaldo Contenti



Il M° Nicola Piovani in una mia foto del 2011. / The Master Nicola Piovani in a 2011 picture.

mercoledì 20 aprile 2011

“Ritratto di Roberto Rossellini” di Osvaldo Contenti



Subito dopo aver scritto assieme all’amico Renzo Rossellini il libro “Chat room Roberto Rossellini” (Luca Sossella editore), ho realizzato questo ritratto del grandissimo regista romano, iniziatore del Neorealismo italiano e quindi anticipatore del cinema moderno.
A proposito, chi volesse acquistare il libro in questione, con uno sconto del 5%, può farlo all’indirizzo di ibs.it in: http://www.ibs.it/code/9788887995329/rossellini-renzo/chat-room-roberto.html

martedì 19 aprile 2011

PAOLA TURCI - Photo: Osvaldo Contenti


La musicista e cantante Paola Turci in una mia foto del 1995. / The musician and singer Paola Turci in a 1995 picture.

“Il Giardino dell’Arte” di Osvaldo Contenti



Nel Giardino dell’Arte c’è una musa assopita che rappresenta tutte le altre sue otto sorelle. L’ultimo a risvegliarla dal sonno fu Giorgio De Chirico, quando nel 1917 dipinse “Le muse inquietanti”. Poi, più nulla o quasi. Presi com’eravamo, e come siamo, dalla frenesia di una nuova e ben più inquietante musa, tanto energica quanto eretica, quella dell’arte della guerra. Pablo Picasso, con il “Guernica” del ‘37, tentò di avvisarci che la disumanità della guerra, assieme ai corpi straziati dai bombardamenti, avrebbe decretato anche la morte delle arti. Ma noi non l’ascoltammo e col passar del tempo, in altre faccende affaccendati, dimenticammo persino il nome delle muse. Per cui, sdegnate dal nostro disinteresse, le muse si assopirono ancor più profondamente in attesa di un nostro risveglio, che in buona sostanza equivarrebbe al loro. E ora che dite, siamo pronti a questo risveglio?
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Un quesito al quale ha risposto in forma poetica il mio grande amico Gian Contardo Colombari,che saluto e ringrazio per il suo gentile pensiero.

lunedì 18 aprile 2011

Al cinema: “RIO” di Carlos Saldanha


Un carnevale di colori a tempo di samba!
Recensione di Osvaldo Contenti

Quando tra le spettacolari immagini in 3D di “RIO” appare l’imponente statua del Cristo Redentore (opera di Paul Landowski), a braccia aperte e a picco sulla baia di Rio de Janeiro, accompagnata dalle caldissime e trascinanti note del “Mas que nada” interpretato da Sergio Mendes, non c’è bisogno di essere degli esperti d’arte per apprezzare una delle sette meraviglie del mondo moderno, e con essa un film d’animazione di rara bellezza, che coniuga gli sfavillanti colori della fauna brasiliana ai ritmi frenetici, al samba del carnevale di Rio e al calore di un popolo che da sempre è maestro nella gioia di vivere.
Un potente imprinting da Pais tropical, cromatico e musicale, che il regista Carlos Saldanha, forte dell’esperienza acquisita con la saga de L’era glaciale, ha trasposto con un uso dell’mdp votato all’azione e al movimento fluidi, in cui gli ambienti e i personaggi sembrano essere un tutt’uno, con l’ausilio di un’ampia tavolozza digitale, che il team degli Effetti e del 3D dei Blue Sky Studios ha tradotto osservando i colori e il piumaggio dei pennuti ospitati in uno zoo del Bronx, registrando e riproponendo anche i loro movimenti più tipici.
Ed è da questa attenta osservazione dei volatili che sono nati i personaggi di Blu, un ara macao che non sa volare proveniente dal Minnesota, di Gioiel, un ara femmina di Rio de Janeiro destinata a “svezzare” e unirsi con Blu, del simpatico tucano Rafael e del cattivissimo pappagallo Miguel, alle prese, loro malgrado, con il temibile ma buon bulldog Luiz e soprattutto con la coppia di maldestri malfattori Tipa e Armando, tutti destinati a divenire un’icona nell’immaginario dei bambini e degli adulti più avveduti.
Pennuti, e non, interpretati vocalmente da un’affiatata quanto eterogenea compagnia di doppiatori, che, infatti, nella versione italiana del film, ha compreso: l’attore Fabio De Luigi per Blu, la conduttrice di LA 7 Victoria Cabello per Gioiel, l’ex calciatore e ora telecronista di Sky Josè Altafini per Luiz, il musicista e cantante Mario Biondi per Miguel, il Direttore responsabile di Sky TG24 Emilio Carelli per Tipa, il conduttore di Sky Cine News Francesco Castelnuovo per Armando e, dulcis in fundo, il più bravo di tutti, l’attore e doppiatore professionista Pino Insegno, che con la sua consueta maestria ha prestato la voce al personaggio di Rafael.

Curiosità
Il predetto gruppo di doppiatori è stato ottimamente orchestrato dal direttore del doppiaggio Marco Guadagno, che durante tutta la conferenza stampa del film, svoltasi all’Hotel Boscolo Exedra di Roma, è stato fatto oggetto di un simpatico tormentone che lo situava in un aereo per quel di Los Angeles, forse – aggiungiamo noi – impegnato a dar lezioni di volo all’ancora inesperto Blu!

News
RIO SPICCA IL VOLO E VA IN TESTA AL BOX OFFICE
Con un incasso Cinetel di € 1.674.289, Rio nel primo weekend di programmazione si è piazzato immediatamente al primo posto negli incassi italiani, superando l’attesissimo film di Nanni Moretti “Habemus papam” (fermatosi a € 1.298.524) e ottenendo da solo il 25% degli incassi totali del mercato italiano nel weekend. Il successo italiano è inoltre superiore a quello ottenuto in altri territori quali la Germania (dove nel primo weekend RIO aveva incassato €1.818.958 con 920 copie) la Spagna (dove ha incassato € 1.529.286 con 633 copie) e la Gran Bretagna (dove ha incassato 1.515.853 sterline con 1119 copie), tutti Paesi dove RIO ha comunque aperto piazzandosi subito in testa al Box Office. Il film, realizzato dagli stessi autori de L’ERA GLACIALE, ha inoltre avuto un’apertura del 25% superiore rispetto al suo illustre “predecessore” che nel primo weekend aveva incassato €1,334.511.
(FONTE: www.guidilocurcio.it)

In rete
Sito Ufficiale del film
www.rio-themovie.com/
Sito italiano
www.rioilfilm.it/
Trailer in italiano
www.guidilocurcio.it/scheda_video.php?idv=28
Rio - La Canzone di Miguel – feat: Mario Biondi
www.youtube.com/watch?v=stKreWOmtc8&feature=player_embedded

N.B. Articolo pubblicato su PITTURAEDINTORNI.IT all’indirizzo:
www.pitturaedintorni.it/artmovie.htm

In libreria: “I GIORNI DELL’ACQUA” di Rossella Renzi



Prefazione di Osvaldo Contenti

Il richiamo agli elementi naturali è una presenza costante e immanente nella raccolta di poesie “I giorni dell’acqua” di Rossella Renzi.
Una rievocazione insolita in tempi ipertecnologici come i nostri, ma proprio per questo madida di significati dimenticati, di umori nascosti e di riletture neo-totemiche che non mancano di sorprenderci ad ogni nuovo rigo di lettura.
Questo in una rinnovata visione panteistica, in cui non solo Dio è percettibilmente nel tutto, ma le donne e gli uomini riscoprono il senso del Tutto tramite i segnali elargiti dalla natura.
In un ambiente che non è un’illusoria Arcadia, bensì il riuscito e tangibile tentativo di arrivare al dono della conoscenza tramite un’“ecologia della mente”, una pulizia interiore in cui “l’odore delle cose”, “i germogli inchiodati” o “l’urlo marino” ci riportano al contatto diretto con ciò che ci circonda e che chiamiamo ecosistema.
Del resto, in tal senso, i quattro capitoli contenenti le liriche di Rossella, così intitolati: “Di madre terra”, “Come cenere”, “Fra le mani” e “I giorni dell’acqua”, sono già esplicativi dei loro rispettivi contenuti.
Anche se la sorpresa dei versi dal significato sospeso, spesso duplice o marcatamente metafisico, non pone tregua ad un’attenta lettura, che sempre deve farsi portavoce di una possibile traduzione altra, tra le righe, pur nella composta comprensione del messaggio più evidente.
Poi, la poetessa, declinando in soggetto gli oggetti della natura, trova il modo di tradurre sulla sua futura prole la culla della vita rappresentata dall’acqua.
Ed è così che sgorgano, è il caso di dirlo, vibranti versi d’acqua come: “Fuori sarà il diluvio / tu la goccia sull’orlo di una foglia…”, così amorevoli e protettivi tali che solo una madre può immaginare e generare.
Da ciò la netta sensazione, dal punto di vista di una lettura maschile, di entrare di soppiatto nel giardino segreto del gergo femminile, tra quei germogli di parole da cui ne sbocciano altre, in una natura nella Natura, nella fitta vegetazione di una materna soggettività.
Dalla quale, però, l’autrice non fa scaturire preconcetti di sorta su chi la troverà inestricabile, perché anche se “Il morso è un privilegio / per le madri soltanto”, la Renzi sa che per immagini può favorire un racconto comune, tramite un linguaggio che solo con il medium della poesia evocativa diviene un esperanto davvero universale.
Il che porta alla sollecitazione, scorrendo il filo ininterrotto di ogni lirica, di condurre una lettura poetica senza barriere lessicali e senza tempo, da una visuale quasi ancestrale, dove i primordi rivivono nell’appartenenza a una natura invitta, seppur maltrattata e vilipesa nella colpevole sottovalutazione degli odierni dissesti ambientali che si diramano a livello globale.
Un tema, questo, che tramite l’ecologia della mente di cui parlavo prima, diverrà sempre più familiare al lettore che mano a mano vorrà approfondire, assieme all’autrice, la filiera del nostro atavico ruolo nella natura, fino a condividere con la poetessa il: “Non posso resistere all’acqua / alla sua spinta essenziale”. Che poi è il tratto distintivo, la chiave di volta di tutta la complessa struttura di questo commovente, maternale e preziosissimo libro di poesie, avvinto alle radici di una convinta e possibile relazione armonica tra Uomo e Natura che deve farci riflettere sia per l’interazione passata che per quella da vivere nel presente.

Una poesia di Rossella Renzi
(per gentile concessione dell’editore Gianfranco Fabbri):

Tremano le mani
in ogni angolo della casa
dove alloggiano le ore più dure
i lividi sulle braccia e gli occhi
sulla carne incisi a fuoco.
Conservo con cura ogni goccia che cade,
il bianco delle ossa,
l’ombra curva della madre.


Note biografiche sull’autrice

Rossella Renzi è nata a Castel S. Pietro Terme (Bo) nel 1977, vive a Conselice (Ra) dove lavora come come insegnante. Sue poesie sono apparse sulla rivista "Graphie", sul bollettino "land/box" (1 / 2009) e nell'antologia Pro-Testo (Fara Editore, 2009), con una silloge intitolata Sull'orlo del mondo. Dal 2003 è redattrice di "Argo-Rivista d'esplorazione" (Ed. Cattedrale, Ancona). Collabora con le riviste di letteratura e poesia "land", "clanDestino", "La Mosca di Milano". Si è laureata in Lettere Moderne all'Università di Bologna, con una tesi sull'ultima produzione poetica di Montale.

Siti della Casa Editrice L’Arcolaio:

L’Arcolaio home page
http://82.85.103.115/Arcolaio/

Blog di Gianfranco Fabbri
http://arcolaio.ning.com/

domenica 17 aprile 2011

GALLERIA DI ARTISTI CONTEMPORANEI su www.pitturaedintorni.it



All’interno del prestigioso e curatissimo Portale dell’Arte Pittura&dintorni, è presente una “Galleria di artisti contemporanei”, curata dal Direttore Editoriale Roberto Fabbretti,  dove potete trovare anche venti mie opere, nella Sala 9, al seguente indirizzo web:

Homepage del sito:
http://www.pitturaedintorni.it/index.asp

sabato 16 aprile 2011

In libreria: “Mare invisibile” di Filadelfo Giuliano

Recensione e conversazione con l’autore di Osvaldo Contenti

Il romanzo di Filadelfo Giuliano è un noir di tipo metropolitano, ambientato principalmente a Catania e a Praga, che con una buona dose di realismo e un attento occhio critico analizza le grandezze e le contraddizioni dell’importante capoluogo di provincia siciliano, assieme a quelle della capitale della Repubblica Ceca, che nel libro in questione sono legate a doppio filo da una comune trama di malavita organizzata.
Temi di infiltrazione mafiosa che riportano subito alla mente il Leonardo Sciascia de Il giorno della civetta o di Todo modo, ma  che Giuliano, a mio modo di vedere (lo verificheremo in una delle domande poste di seguito all’autore), declina in modo differente rispetto al grande scrittore siciliano, puntando i riflettori più sull’uomo che sulla società che lo circonda, accendendo anche dei flash autobiografici, in una soggettiva dove il narratore e il personaggio principale della storia sono una cosa sola.
In tale ottica, “Mare invisibile” (Azimut editore), propone una trama investigativa mai fine a se stessa, bensì orientata a mettere a fuoco il malaffare e il degrado che va espandendosi nelle città sopracitate, ma con la peculiarità di rapportarsi sempre alla situazione di ogni singolo personaggio. Come se questi attori, visti come “pezzi” di un grande gioco di scacchi, acquisissero importanza non per il ruolo in sé, ma per le “mosse” e le posizioni che via via andranno ad assumere nel dipanarsi delle varie vicende. L’uomo al centro del suo destino è quindi il fulcro del romanzo di Filadelfo Giuliano. Un’impostazione molto netta, che il lettore farà bene ad adottare come chiave di lettura di tutto il racconto.
Nondimeno, a parte le decisive mosse del singolo, la pericolose e ramificate metastasi provocate dall’insinuarsi della malavita organizzata nei gangli della società sono ben presenti nella mente del Nostro. Un cancro del malaffare che il corpo sano di Praga e Catania hanno finora saputo contrastare efficacemente, anche se con vistose e crescenti difficoltà.
Difficoltà che Giuliano, per una sorta di ideale prolungamento, incarnerà anche nell’incerto e problematico protagonista del romanzo, il redattore di cronaca nera Guido Scuderi, che in forza della sua professione e delle frequentazioni praghesi, fino all’ultimo atto della storia si troverà coinvolto più o meno direttamente nelle vicende che hanno portato all’uccisione del pittore Massimo Pulvirenti.
Un assassinio che metterà a nudo sia un fitto sottobosco di agganci malavitosi sorti tra Praga e Catania che le debolezze e le contraddizioni del giornalista dell’Isola, diviso com’è tra l’antica infatuazione per l’attraente Pavlina e per l’altrettanto affascinante ma più assennata Giulia Consoli, collega di redazione di Guido.
Un intelligente espediente narrativo finalizzato a porre dinanzi ad uno specchio i peccati individuali di Guido a quelli dei malavitosi, che quindi non potranno che risolversi specularmente, a significare che il riscatto morale del singolo può riflettersi anche sulla collettività.
Una visione forse un po’ romantica, al limite della forzatura, ma che ha l’indubbio merito di porre il tema della responsabilizzazione di ogni singola persona a simbolo di una pulizia morale capace di nettare, senza delegare a terzi, anche il più piccolo ambito insozzato dall’illegalità.
Da ultimo, però, a prescindere dagli aspetti malavitosi, va doverosamente segnalato che l’ottimo romanzo di Filadelfo Giuliano offre anche un eccezionale e affettuoso affresco di Catania e dintorni, impreziosito da amorevoli e puntuali dettagli artistici e gastronomici. Per cui, nei seguenti quesiti posti all’autore, ho posto l’accento sia sulla città di Catania che sullo scrittore Leonardo Sciascia, menzionato all’inizio dell’articolo.

Quanto ha inciso la lezione di Leonardo Sciascia sul tuo romanzo che ha come centro nodale la città di Catania?

Non molto. Solo qualcosa dell’ultimo Sciascia quello di Una storia semplice e Il cavaliere e la morte. Ho fatta mia la grande lezione in fatto di noir di Jean-Claude Izzo. Dell’ultimo Sciascia mi ha interessato il suo stile asciutto ed essenziale.

Quel “Mare invisibile” che dà il titolo al tuo romanzo suona malinconicamente polemico. Sbaglio?

Nessuna polemica. Il mar invisibile a Catania è un dato di fatto. Il ponte della ferrovia ha nascosto il mare alla città che in genere viene conosciuta come la città etnea. Catania è più famosa per il vulcano che il mare che la bagna. Questo ha anche un risvolto esistenziale. Un’assenza che incide sugli umori e sul modo d’essere della città.

Note biografiche dell’autore

Filadelfo Giuliano è nato a Catania. Vive e lavora a Vicenza. Si occupa di letteratura ceca e ha tradotto in italiano: Eravamo in cinque di Karel Polacek; lo scrittore Tomas Garrigue Masaryk; e, per Salani, I ragazzi di velluto di Sheila Och. Con Azimut ha pubblicato, nel 2008, Ritorno in Sicilia, vincitore del Premio “A sud di Tunisi”, Città di Portopalo.

In libreria e on line

“Mare invisibile” di Filadelfo Giuliano è acquistabile in tutte le librerie della catena Feltrinelli e nel sito di questo stesso editore all’indirizzo:
e nel sito deastore.com in:
 
Sito dell’editore
http://www.azimutlibri.com/

N.B. Articolo pubblicato su PALCOSCENICO in:
www.palcoweb.net

venerdì 15 aprile 2011

In libreria: “FORSE TU S Ì” di Francesca Bertoldi

Recensione e conversazione con l’autrice di Osvaldo Contenti

Francesca Bertoldi, nella sua raccolta di trentaquattro racconti e poesie, intitolata “FORSE TU SÌ (Storie minimali)”, edita da Giulio Perrone, scrive e descrive la vita che ci circonda utilizzando una specie di slow motion applicato alla narrativa. Un effetto a rallentatore che per sua natura ci fornisce tutto il tempo che vogliamo per osservare e comprendere dei momenti di quotidianità che altrimenti andrebbero perduti.
Una tecnica solitamente usata in cinematografia per enfatizzare degli atti particolarmente eroici o degli incontri romantici, ma che invece l’autrice utilizza per centellinare e sottolineare la sofferenza fisica, la distruzione dei sentimenti e la fatica dell’esistere.
Tutto questo in una serie di pulsanti rappresentazioni iperveriste, che in ogni storia, anche in quelle in versione poetica, spazzano via in un solo colpo tutti gli eufemismi e le ipocrisie tanto care alle società contemporanee, dove sembra basti possedere un nuovo tipo di cellulare per vivere in spensierata felicità.
Ma Francesca non crede a queste colossali sciocchezze e con lei la quasi totalità dell’universo femminile. E infatti è principalmente alle donne che l’autrice rivolge il suo sguardo, svolgendo una serie di ritratti femminili dove il dolore, l’inganno, la vigliaccheria, le assenze e una conseguente perdita del sé allestiscono un gineceo di sofferenze che troppo spesso tendiamo a rimuovere e dimenticare.
Perciò mi sono chiesto se l’autrice avesse scelto di indirizzare il messaggio insito nei suoi racconti esclusivamente a delle donne. Un dubbio che ho tradotto in un quesito rivolto direttamente alla scrittrice, che molto nettamente mi ha risposto cosi:

Assolutamente no, il libro si rivolge anche all’universo maschile, a chiunque voglia condividere il confronto tra passato e presente, avventurandosi nei suoi viaggi evocativi, indagandone le connessioni e imbattendosi negli inganni e nei tranelli che la memoria stessa può giocarci, insidiosa com’è, per liberare la trama di un precedente stato mentale che ha già lasciato la nostra coscienza.
Il libro è rivolto ad ogni lettore che sia interessato alle inesauribili figure che brulicano nell’ombra dell’inconscio fino ad imbattersi nel proprio doppio in una dimensione di mistero, ai confini con il reale, esplorando una possibilità parallela di una personalità singolare, uguale e contraria”.

Una replica chiarissima, che però ci introduce a un’altra interessantissima chiave di lettura del libro di Francesca Bertoldi: l’inconscio. Dove questo, come ben sottolinea l’autrice nell’introduzione al testo, rappresenta una “maschera illusoria della realtà”. Come a dire che gli strati sovrapposti tra sogno e vita reale possono intersecarsi e fondersi, a volte creando una verosimiglianza della realtà, in altre parole una sua rappresentazione, che sarà compito del lettore interpretare e capire.

E proprio per interpretare al meglio le intenzioni dell’autrice, le ho chiesto il significato da lei attribuito, fra mille ipotizzabili, a quel “FORSE TU S Ì” che intitola il suo bellissimo libro.

“’Forse tu sì’ è una “frasetta” che ognuno di noi avrà pronunciato milioni di volte nella vita probabilmente senza rendersene nemmeno conto. Nel racconto che dà il titolo alla raccolta, la protagonista scrive questa frase nella lettera che lascerà al suo ragazzo prima di lasciare per sempre l’appartamento che condividono e con esso la loro storia, come fosse anch’essa qualcosa che si può abbandonare su una mensola, riporre in un cassetto per poi, forse, tornare a prendersela.“Forse tu sì”, scrive, e così tenta di comunicare l’impossibilità di essere “normale” e di proseguire la loro relazione aggravata com’è da un peso, da un dolore che non le dà né respiro, né vita… fino a quando, chissà, in questo dolore lei “crescerà”. “Forse tu sì, ce la puoi fare, non io, non ora”. Questo nel racconto.
Ma mi sono resa conto che spesso la frase ricorre nei miei racconti assumendo, di volta in volta, secondo il caso, significati diversi, sia nella sua accezione positiva dove anima, incoraggia, che in quella negativa dove quasi biasima, disapprova. Il concetto che sta alla base cambia dunque di storia in storia e quindi, come dici tu, ecco che “forse tu sì” si presta a mille significati. I miei “personaggi” sono esasperati, dolenti, ma emergono dalla mia materialità e alla stessa sfuggono…e, come a mettersi sempre in discussione affermando poi allo stesso tempo la propria individualità, ognuno di essi riconosce la sua condizione "come un destino individuale" al quale è difficile sfuggire”.

Sito e note biografiche dell’autrice

Storie Minimali:

Francesca Bertoldi è nata a Roma dove vive e lavora. Appassionata di letteratura e scrittura in tutte le sue forme, ha frequentato l'Istituto Superiore di Giornalismo e Tecniche Audiovisive della Rai. Da sempre scrive racconti brevi e poesie portando avanti nel contempo il progetto di stesura del primo romanzo. Suoi racconti sono stati pubblicati in varie antologie (Giulio Perrone).

In libreria e on line

Il libro di Francesca Bertoldi, intitolato “FORSE TU S Ì (Storie minimali)”, di 168 pagine, edito da Giulio Perrone, è distribuito e/o ordinabile presso tutte le librerie italiane, compresa la catena Feltrinelli. On line è acquistabile all’indirizzo:


N.B. Articolo pubblicato su PALCOSCENICO in:
www.palcoweb.net