giovedì 28 aprile 2011

In libreria: “Il rovescio del tennista” di Gilberto Canu

Conversazione con l’autore di Osvaldo Contenti

La lettura del romanzo “Il rovescio del tennista”, edito dal Gruppo Albatros Il Filo, scorre via piacevolmente, suscitando un immediato interesse per il fitto e complesso intreccio che si dipana nell’alternarsi delle varie vicende. E non solo perché lo stile di Gilberto Canu è coinvolgente sin dalle prime battute, ma soprattutto perché l’autore sa strutturare assai bene le basi psicologiche e lo specifico ruolo di ogni nuovo personaggio che mano a mano affiora dalle pagine.

Una minuziosa costruzione degli “attori in scena” in cui si avverte un metodo, una disciplina che va al di là delle normali prerogative di un qualsiasi scrittore. Difatti, l’autore, assieme alle sue notevoli capacità narrative, annovera anche l’esercizio della professione di architetto, il che spiega il rigore nell’”edificare” il racconto sin dalle sue fondamenta.

Del resto, per dirla con le parole dell’architetto Renzo Piano, l’architettura è “l’arte del costruire, ma anche l’arte di rappresentare le cose”.

Prova ne sia l’ottimo impianto di questo romanzo di Gilberto Canu, dove oltre all’egregio “progetto costruttivo”, di cui ho fatto cenno, l’autore pone in essere anche un difficile ma riuscito doppio ambito di riflessioni, rivestendo di antiche memorie del ’56 e di lotte del ’68 studentesco un articolato edificio in cui sarà intrigante perdersi, per poi ritrovarsi proprio come i protagonisti del racconto. Temi sui quali ho invitato Gilberto Canu a chiarire alcuni aspetti nell’ampia conversazione che segue.
      
Dalla tua scheda biografica risulta che ti sei laureato in Architettura nel 1980 presso l’Università “La Sapienza” di Roma ed eserciti la professione nella provincia di Bologna. Ma ora, dopo il tuo libro d’esordio, intitolato “Valle Giulia”, torni a cimentarti nel campo della letteratura con “Il rovescio del tennista”. Un curriculum piuttosto singolare per un architetto. Vuoi spiegarci il perché di questa virata in veste di scrittore?

Ogni lavoro, anche il più creativo, prima o poi ti imprigiona nella routine. Cercavo un altro campo di gioco. L’ho trovato nella scrittura. Raccontare della facoltà di architettura di Roma negli anni d’oro è stato un esercizio relativamente facile. Io c’ero.
Altri che non ci sono mai stati e che quegli anni non hanno vissuto, raccontavano a sproposito. Ho voluto rimettere le cose a posto.

Nel romanzo “Il rovescio del tennista”, per addensare certe atmosfere, spesso poni l’accento su una serie di artisti, tra i quali Canova, Cezanne o Man Ray. Perché?

Io vengo dal Liceo artistico. Ero bravo. Il mio professore di figura "Titta" Salerno fratello di Enrico Maria cercò di convincere mio padre a farmi fare tre anni in uno. «Questo ragazzo ha "la mano"» diceva, qui è sprecato.
Mio padre da buon operaio gli rispose che le cose vanno fatte bene, prendendosi il tempo che serve. Quindi rimasi al Liceo. Fu una fortuna, poiché gli anni erano quelli che conosciamo e i professori straordinari. Invece di farci studiare sul’Argan (N.d.R. I volumi di Storia dell’Arte firmati dallo storico dell’arte Giulio Carlo Argan) ci portavano continuamente per musei a meravigliarci della bellezza di alcuni artisti. Ho scoperto così i "Futuristi" Balla, Boccioni, Marinetti. Tutta la pittura e scultura rinascimentale e Roma da questo punto di vista non si fa mancare niente.
L’arte e l’architettura sono diventate poi, le materie naturali dei miei studi.
C’è da dire che questa cosa ha prodotto negli anni successivi, quando scoppiò la divulgazione di massa delle mostre d’arte, il mio allontanamento progressivo dagli eventi culturali. Avevo già visto tutto o quasi, di quello che veniva proposto.

Ancora nel tuo libro più recente, nel capitolo “CI SONO CITTA’ A ORE”, racconti pezzi e tragitti di Roma passando dall’aspetto urbanistico a quello architettonico. Cosa ti lega ai luoghi di questa città e quanto sono stati importanti ai fini del tuo secondo romanzo?

Sono nato in un piccolo paese della "bassa" bolognese. Ho vissuto per vent’anni a Roma e ho origini sarde, a un certo punto ho dovuto eleggermi un domicilio legale per fare fronte a questo randagismo di origini indefinite. Roma è venuta da sé, in quella città ho avuto i primi amori, gli amici per sempre, i ricordi indelebili che appartengono all’età più importante. Non sono mai stato d’accordo con Paul Nizan che in Aden Arabia affermava "Avevo vent’anni non permetterò a nessuno di dire che quella è la più bella età della vita".
I vent’anni sono la più bella età della vita! Chi dice il contrario sa di mentire.
Vivere a vent’anni in una città come Roma in un tempo irripetibile è una cosa che ti segna. Frequentare luoghi e piazze che sono considerati i più belli del mondo con la consapevolezza di uno studente di architettura è una esperienza che ti porterai addosso come uno zaino in montagna.

Un’altra particolarità del tuo nuovo romanzo è quella di narrare, contemporaneamente, due periodi indietro nel tempo: la Roma degli anni ’70 e la Bologna del ’56. Perché questa scelta?

Bologna nel '56 era sepolta dalla neve come d’altronde tutta l'Italia. Volevo raccontare un’atmosfera, paesaggi silenziosi, odi di guerra terminati da poco, la miseria della vita che si conduceva con sacrificio e carenze, ma anche la voglia di andare avanti, di essere felici di quel poco che si aveva. Insomma della semplicità della vita degli uomini e delle donne di quell’epoca non ancora corrotta, non ancora avariata.
Roma degli anni '70 è la città della mia crescita, della passione politica, della possibilità che il mondo potesse essere diverso, felice di partecipare al suo cambiamento. Poi le delusioni e le sconfitte hanno scavato un solco che ha inciso in profondità quell’antica passione, senza vincerla del tutto.
Quella passione è nata a Roma negli anni della contestazione giovanile e inevitabilmente quella città mi è entrata dentro per sempre.
Periodicamente sento la necessità di tornare, sentirne gli odori, perdermi tra i suoi vicoli, pranzare da Armando al Pantheon, passeggiare la sera sul lungotevere, prendere un caffè al Sant’Eustachio. Vuoi mettere?

Note biografiche dell’autore

Gilberto Canu è nato a Sant'Agata Bolognese nel 1953. Laureato in Architettura nel 1980 all'Università La Sapienza di Roma. Svolge la professione nella Provincia bolognese. È stato sindaco del suo Comune per due legislature, ha due figli Leonida e Saverio. “Il Rovescio del Tennista” è il suo secondo romanzo, ha pubblicato con SBC Edizioni “Valle Giulia”.

In libreria e on line

Sito dell’editore

Il volume  “Il rovescio del tennista”, di 151 pagine, scritto da Gilberto Canu ed edito dal Gruppo Albatros Il Filo, è in vendita presso la catena di librerie Coop, diffusa in ambito nazionale e nelle maggiori città, tranne che a Roma, dove è disponibile nella libreria “Il Filo”, sita in via Basento 52.

Il libro di Gilberto Canu è acquistabile anche on line al seguente indirizzo:

ibs.it

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