A distanza di vent’anni
dall’assassinio della giornalista Ilaria Alpi e del cineoperatore Miran
Hrovatin, ripubblico la mia recensione del film di Ferdinando Vicentini Orgnani,
unendomi all’auspicio, ieri palesato dalla presidente della Camera Laura Boldrini,
di impegnarsi a far togliere il segreto sui documenti dei servizi riguardanti
l’omicidio di Ilaria e Miran.
Un film per riflettere sull’assassinio della giornalista Ilaria Alpi e del cineoperatore Miran Hrovatin, un caso ancora aperto.
Scritto da Osvaldo Contenti
Sono passati nove anni da quel maledetto 20 marzo del
1994, giorno in cui Ilaria Alpi, giornalista Rai, e il suo cameraman, lo
sloveno Miran Hrovatin, vennero assassinati in un vile e spietato agguato
organizzato a Mogadiscio, in Somalia, che nessun giornalista degno di questo
nome ha intenzione di dimenticare. Ne fa fede l’affollatissima conferenza
stampa di presentazione del film Ilaria Alpi – Il più crudele dei giorni, di
Ferdinando Vicentini Orgnani, dove l’atmosfera che si respira è delle più
gravi.
Si capisce subito che non sarà una presentazione come
le altre, anche perché i preannunciati bagliori di guerra contro l’Iraq, qui
scagliano un riverbero ancor più sinistro sulla vicenda umana e professionale
di Ilaria e Miran, due inviati di guerra che oltre ad informare volevano
capire. Una volontà di risalire al cui prodest? che sicuramente, per alcuni, ha
decretato la loro condanna a morte. Ma il regista tiene subito a precisare:
«Noi non siamo degli investigatori. Siamo persone che mettono insieme dei
frammenti di una realtà complicata per cercare di farla capire». E infatti
quello di Vicentini Orgnani non è un film-inchiesta, semplicemente perché non
vuole esserlo.
La pellicola, invece, focalizzando solo l’ultimo mese
di vita dei due inviati del Tg3, si concentra sulla personalità di Ilaria e
Miran e sulla loro dedizione al lavoro. Volendo significare e sottolineare, in
una prima fase del film, che i due reporter non erano alla ricerca di inutili eroismi,
in quanto si ritenevano dei normali operatori dell’informazione. Ma è ancora
possibile esercitare questo mestiere senza pagarlo al costo della vita? Questo
è il punto. E il film ha il pregio di far riflettere proprio su questa piaga
ancora aperta, a fronte di 67 vittime tra gli operatori dell’informazione,
annunciate dall’International Federation of Journalist, che nel solo 2002 sono
cadute in zone “calde” o di guerra.
In conferenza stampa l’indignazione per questa
orribile realtà, che tutti i giornalisti hanno ben presente, si traduce in
quesiti che mettono in discussione il ruolo, o peggio, l’assenza di una tutela
di Ilaria e Miran da parte dell’esercito italiano e da parte dei responsabili
Rai. La discussione si accende e Gianni Minà, con molto acume, rincara la dose
ricordando che una parte degli effetti personali di Ilaria Alpi, tra cui degli
importanti block notes e dei filmati, vennero trafugati durante il volo che
riportò in Italia le salme di Ilaria e Miran. Chi fece sparire quel materiale?
E a quale scopo? Domande parzialmente retoriche che comunque fanno sorgere
altri interrogativi, come quelli su possibili pressioni intervenute nella fase
di produzione del film. Al riguardo, Marcello Fois, sceneggiatore assieme a
Vicentini Orgnani, fuori dai denti risponde che oltre a pressioni vi sono state
anche minacce esplicite. Tutto ciò a riprova indiretta di un film che ha colto
nel segno, dove non solo viene espressa una tesi convincente riguardo al
movente del duplice omicidio, ma dove si fanno nomi e cognomi delle figure
salienti legate a questo sporco affair internazionale che trasuda di armamenti
e rifiuti tossici esportati illegalmente.
Siamo quindi di fronte ad un film-verità che ha pochi
precedenti nel panorama cinematografico italiano. La sua peculiarità è di non
essere mai documentaristico, anche quando, con rigore, si sofferma sulla
meticolosa ricostruzione di fatti e relazioni tra personaggi reali. Un rigore
che permea anche la straordinaria interpretazione di Ilaria Alpi da parte di
Giovanna Mezzogiorno, sicuramente la miglior attrice italiana di questi ultimi
anni, la quale spiega così il suo lavoro sul personaggio: «Ho cercato di capire
la sua personalità, il suo modo di approcciarsi al lavoro. Non abbiamo fatto un
lavoro di imitazione perché sarebbe stato sbagliato copiare una persona,
scimmiottare i suoi gesti. Ho cercato di assomigliarle nel suo modo di essere,
nel suo modo di affrontare con decisione la sua professione e in particolare
questa sua ultima vicenda». Va comunque detto che l’interpretazione di Giovanna
Mezzogiorno risulta a tuttotondo non solo per la bravura dell’attrice, ma anche
per la perfetta intesa con il bravissimo Rade Sherbedgia nel ruolo del
cineoperatore Miran Hrovatin. L’equilibrio tra questi due ottimi interpreti è
il fiore all’occhiello del film dal punto di vista estetico.
Un film che però non intende affatto risolversi nella
sola parabola della visione nelle sale, ma che proprio tramite esso e
l’acquisizione di nuovi elementi ha l’ambizione di far riaprire il caso.
Inoltre, ai temi della pellicola si affianca anche l’importante “Premio
Giornalistico Televisivo Ilaria Alpi”, giunto alla IX edizione, che si terrà a
Riccione il 5-6-7 giugno 2003 mettendo in concorso servizi ed inchieste
giornalistiche televisive che trattino temi di impegno civile e sociale. E
proprio per l’impegno civile espresso in più occasioni da Luciana e Giorgio
Alpi, genitori di Ilaria, che hanno approvato sino all’ultima riga la
sceneggiatura del film, con rispetto e un sentimento di vicinanza desidero
dedicare loro il brano di una poesia di Nazim Hikmet che recita così: “C’è un
albero dentro me trapiantato dal sole, le sue foglie oscillano come pesci di
fuoco, le sue foglie cantano come usignoli…”.
>>Articolo
pubblicato il 25 Marzo 2003 su PALCOSCENICO
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