giovedì 20 marzo 2014

Ilaria Alpi, il più crudele dei giorni




A distanza di vent’anni dall’assassinio della giornalista Ilaria Alpi e del cineoperatore Miran Hrovatin, ripubblico la mia recensione del film di Ferdinando Vicentini Orgnani, unendomi all’auspicio, ieri palesato dalla presidente della Camera Laura Boldrini, di impegnarsi a far togliere il segreto sui documenti dei servizi riguardanti l’omicidio di Ilaria e Miran.   

Un film per riflettere sull’assassinio della giornalista Ilaria Alpi e del cineoperatore Miran Hrovatin, un caso ancora aperto.

Scritto da Osvaldo Contenti

Sono passati nove anni da quel maledetto 20 marzo del 1994, giorno in cui Ilaria Alpi, giornalista Rai, e il suo cameraman, lo sloveno Miran Hrovatin, vennero assassinati in un vile e spietato agguato organizzato a Mogadiscio, in Somalia, che nessun giornalista degno di questo nome ha intenzione di dimenticare. Ne fa fede l’affollatissima conferenza stampa di presentazione del film Ilaria Alpi – Il più crudele dei giorni, di Ferdinando Vicentini Orgnani, dove l’atmosfera che si respira è delle più gravi.
Si capisce subito che non sarà una presentazione come le altre, anche perché i preannunciati bagliori di guerra contro l’Iraq, qui scagliano un riverbero ancor più sinistro sulla vicenda umana e professionale di Ilaria e Miran, due inviati di guerra che oltre ad informare volevano capire. Una volontà di risalire al cui prodest? che sicuramente, per alcuni, ha decretato la loro condanna a morte. Ma il regista tiene subito a precisare: «Noi non siamo degli investigatori. Siamo persone che mettono insieme dei frammenti di una realtà complicata per cercare di farla capire». E infatti quello di Vicentini Orgnani non è un film-inchiesta, semplicemente perché non vuole esserlo.
La pellicola, invece, focalizzando solo l’ultimo mese di vita dei due inviati del Tg3, si concentra sulla personalità di Ilaria e Miran e sulla loro dedizione al lavoro. Volendo significare e sottolineare, in una prima fase del film, che i due reporter non erano alla ricerca di inutili eroismi, in quanto si ritenevano dei normali operatori dell’informazione. Ma è ancora possibile esercitare questo mestiere senza pagarlo al costo della vita? Questo è il punto. E il film ha il pregio di far riflettere proprio su questa piaga ancora aperta, a fronte di 67 vittime tra gli operatori dell’informazione, annunciate dall’International Federation of Journalist, che nel solo 2002 sono cadute in zone “calde” o di guerra.
In conferenza stampa l’indignazione per questa orribile realtà, che tutti i giornalisti hanno ben presente, si traduce in quesiti che mettono in discussione il ruolo, o peggio, l’assenza di una tutela di Ilaria e Miran da parte dell’esercito italiano e da parte dei responsabili Rai. La discussione si accende e Gianni Minà, con molto acume, rincara la dose ricordando che una parte degli effetti personali di Ilaria Alpi, tra cui degli importanti block notes e dei filmati, vennero trafugati durante il volo che riportò in Italia le salme di Ilaria e Miran. Chi fece sparire quel materiale? E a quale scopo? Domande parzialmente retoriche che comunque fanno sorgere altri interrogativi, come quelli su possibili pressioni intervenute nella fase di produzione del film. Al riguardo, Marcello Fois, sceneggiatore assieme a Vicentini Orgnani, fuori dai denti risponde che oltre a pressioni vi sono state anche minacce esplicite. Tutto ciò a riprova indiretta di un film che ha colto nel segno, dove non solo viene espressa una tesi convincente riguardo al movente del duplice omicidio, ma dove si fanno nomi e cognomi delle figure salienti legate a questo sporco affair internazionale che trasuda di armamenti e rifiuti tossici esportati illegalmente.
Siamo quindi di fronte ad un film-verità che ha pochi precedenti nel panorama cinematografico italiano. La sua peculiarità è di non essere mai documentaristico, anche quando, con rigore, si sofferma sulla meticolosa ricostruzione di fatti e relazioni tra personaggi reali. Un rigore che permea anche la straordinaria interpretazione di Ilaria Alpi da parte di Giovanna Mezzogiorno, sicuramente la miglior attrice italiana di questi ultimi anni, la quale spiega così il suo lavoro sul personaggio: «Ho cercato di capire la sua personalità, il suo modo di approcciarsi al lavoro. Non abbiamo fatto un lavoro di imitazione perché sarebbe stato sbagliato copiare una persona, scimmiottare i suoi gesti. Ho cercato di assomigliarle nel suo modo di essere, nel suo modo di affrontare con decisione la sua professione e in particolare questa sua ultima vicenda». Va comunque detto che l’interpretazione di Giovanna Mezzogiorno risulta a tuttotondo non solo per la bravura dell’attrice, ma anche per la perfetta intesa con il bravissimo Rade Sherbedgia nel ruolo del cineoperatore Miran Hrovatin. L’equilibrio tra questi due ottimi interpreti è il fiore all’occhiello del film dal punto di vista estetico.
Un film che però non intende affatto risolversi nella sola parabola della visione nelle sale, ma che proprio tramite esso e l’acquisizione di nuovi elementi ha l’ambizione di far riaprire il caso. Inoltre, ai temi della pellicola si affianca anche l’importante “Premio Giornalistico Televisivo Ilaria Alpi”, giunto alla IX edizione, che si terrà a Riccione il 5-6-7 giugno 2003 mettendo in concorso servizi ed inchieste giornalistiche televisive che trattino temi di impegno civile e sociale. E proprio per l’impegno civile espresso in più occasioni da Luciana e Giorgio Alpi, genitori di Ilaria, che hanno approvato sino all’ultima riga la sceneggiatura del film, con rispetto e un sentimento di vicinanza desidero dedicare loro il brano di una poesia di Nazim Hikmet che recita così: “C’è un albero dentro me trapiantato dal sole, le sue foglie oscillano come pesci di fuoco, le sue foglie cantano come usignoli…”.

>>Articolo pubblicato il 25 Marzo 2003 su PALCOSCENICO

LINK

Nessun commento:

Posta un commento